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Questa secondo voi è eutanasia? da voi è successo?

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11 Anni 4 Mesi fa #190959 da OrthoLove
Ciao a tutti. Mi sono laureata e sto facendo il tirocinio per l'esame di stato in un reparto di interna. Una settimana fa un paziente di 80 anni circa è stato ricoverato in coma, Glasgow 3, con un'emorragia del lobo temporale sinistro e inondamento ventricolare. Vista la pessima prognosi, i parenti hanno rifiutato il drenaggio ventricolare, e fin qui tutto bene. Si sapeva che prima o poi sarebbe morto. Il punto è che a questo paziente è stata impostata una terapia analgesica e antipiretica, ma NON è stata impostata l'alimentazione, che necessariamente sarebbe stata parenterale o tramite sondino. Il paziente dopo una settimana è morto. Probabilmente anche con la nutrizione non sarebbe cambiato nulla... però a me non sembra giusto. La risposta della mia tutor è stata che "l'eutanasia è solo attiva" (falso, esiste anche quella omissiva, mi sono documentata), che la decisione non occorreva discuterla con i parenti, bastava "mettergli davanti le cose nel modo giusto" (ovvero, da come si capiva implicitamente, ai parenti non era stato detto che il loro congiunto era senza nutrizione) e che "fosse stato parente di un medico, non l'avrebbe fatto (!!). Mi sono documentata e ho letto che le terapie vanno sospese nel caso siano sproporzionate o inefficaci, per farla breve...ma mettere un sondino a me non sembra sproporzionato... da voi è ancora successo?? che ne pensate? La tutor mi ha detto che in questi casi alcuni medici danno ai pazienti soluzioni fisiologiche per farli "uscire dal reparto" prima...

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11 Anni 3 Mesi fa #191461 da Eneriel
Ciao Ortholove,
la vicenda che racconti è uno dei tipici casi che mette in crisi il senso etico e deontologico del medico, oltre che la coscienza di qualsiasi essere umano (vedi il caso di Eluana Englaro)!
La questione in sostanza credo abbia in sè due aspetti fondamentali, che si potrebbero sintetizzare così: 1) "è giusto iniziare o non iniziare/sospendere una terapia nutrizionale in un paziente incosciente e quindi incapace di esprimere il proprio consenso/dissenso?" e 2) "non iniziare/sospendere una nutrizione artificiale costituisce una forma di eutanasia passiva oppure un modo per evitare accanimenti terapeutici?".
Sebbene qui in Italia la politica sia stata in grado di partorire un disegno legislativo (per fortuna non approvato, almeno per il momento) capace di imporre per legge una pratica che di fatto è un trattamento medico invasivo a tutti gli effetti, facendola passare per una forma di amorevole ed innocuo sostentamento, in tutto il resto del mondo occidentale/occidentalizzato la nutrizione artificiale è soggetta a consenso/dissenso, oggetto di dichiarazione anticipata di volontà di cura (biotestamento) e mai obbligo di legge (vedi linee guida delle società europee ed americane di nutrizione clinica: ESPEN, ASPEN). Ammesso questo, se il paziente fosse cosciente potremmo lasciarci guidare dalla sua volontà, oltre che dal buon senso clinico, indipendentemente dalla prognosi. Ma quando la persona è in stato di incoscienza, quindi non è in grado di comunicare nè il suo consenso/dissenso nè il suo reale stato di benessere/sofferenza, e non ha mai dichiarato la propria volontà in merito a tali trattamenti, ci troviamo noi in prima persona a doverne decidere la sorte (che sia per pochi giorni o per tempi più lunghi), e questo secondo me mette in crisi il medico più di qualsiasi altra persona che non abbia un ruolo decisionale. In genere i parenti hanno una visione apparentemente più netta e un atteggiamento più drastico (assolutamente no, oppure si ad ogni costo...) forse perchè, oltre ad essere emotivamente più coinvolti, di solito non hanno il peso/responsabilità dell'ultima parola (se non c'è un tutore legale). In realtà all'atto pratico credo non sia mai facile capire quale sia la scelta migliore da fare, da un punto di vista umano e non meramente clinico, e che ogni caso vada valutato individualmente alla luce del quadro clinico-prognostico oltre che del punto di vista dei familiari, depositari (tranne in rari casi) di una più intima conoscenza della persona e necessariamente co-protagonisti della vicenda umana del paziente.
Detto questo personalmente ritengo la decisione presa dal medico nel caso in questione una scelta clinicamente ed umanamente condivisibile, basata su quel "buon senso" che non dovrebbe mai mancare in medicina. Magari avrebbe potuto essere più trasparente con i parenti e coinvolgerli più attivamente nel processo decisionale, senza "vergognarsi" del suo punto di vista (ripeto assolutamente condivisibile) anzi essendone più convinta anche di fronte ad un eventuale parente-collega!
Il medico ha qui deciso di astenersi da quello che sarebbe stato un inutile accanimento terapeutico. Primo perchè la nutrizione sarebbe stata possibile solo con metodi invasivi ed innaturali, che violano le capacità di autoregolazione dell'organismo, in un paziente che presentava una prognosi oggettivamente pessima non solo quoad valetudinem ma anche quoad vitam, considerando sia gli effetti devastanti dell'evento acuto che il substrato di profonda fragilità tipico dell'anziano. Secondo perchè è un falso mito quello che la nutrizione/idratazione allevi le pene del morente, anzi spesso le aggrava inducendo uno stato di imbibizione dei tessuti (fino all'edema polmonare) e di ipernutrizione sproporzionato rispetto ai reali bisogni dell'organismo in quel dato momento. Detta molto semplicemente, è comune osservazione che quando si sta male l'appetito si riduce e almeno inizialmente costringersi a mangiare come nulla fosse da un punto di vista percettivo/esperienziale assomiglia più a una tortura che a un rimedio terapeutico... esistono forme di autoregolazione dell'organismo che forse non conosciamo ancora a sufficienza e a volte intervenendo potremmo rischiare di fare la parte degli elefanti in una cristalleria!
In sostanza iniziare la nutrizione in questo paziente avrebbe comportato tutta una serie di rischi che, data la prognosi infausta, non valeva la pena correre: 1) aggravare nell'immediato il suo stato di sofferenza con uno stato di ipernutrizione/iperidratazione e/o con complicanze legate all'invasività della procedura (CVC, ab ingestis, etc); 2) prolungare la sua sofferenza di qualche giorno (se non di qualche mese!) senza alcuna possibilità di miglioramento significativo del quadro clinico e della prognosi complessiva. In Italia poi c'è un rischio aggiuntivo, quello di trovarsi nell'assoluta impossibilità, per legge presunta e/o automatismi-consuetudini del sistema sanitario, di sospendere una nutrizione artificiale cominciata magari "ingenuamente" nei casi di prognosi dubbia e rivelatasi poi sproporzionata alle reali condizioni del paziente.
Allora, pensando anche agli insegnamenti del buon vecchio Ippocrate PRIMUM NON NOCERE, non trovi che in questi casi di "terminalità" sia meglio astenersi da trattamenti invasivi e privi di un sicuro beneficio per il paziente e limitarsi piuttosto ad alleviarne lo stato di sofferenza con presidi molto più semplici ed efficaci (morfina &C, bagnare le labbra, ambiente silenzioso e confortevole, vicinanza dei familiari, etc etc)?
A volte LASCIAR MORIRE è molto più penoso per chi resta di quanto lo sia per chi se ne va. Al contrario INSISTERE IN CURE MODERNE E SOFISTICATE può dare la falsa illusione di fare del bene al malato, quando invece stiamo facendo esattamente il suo male...
Tu cosa ne pensi?

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