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Medicina dello Sport: quale futuro?

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13 Anni 1 Mese fa #171856 da fiore
Rispondo ad Albe89.

[glow=red,2,300]1) c'è spazio in medicina dello sport per lo studio della metodologia d'allenamento? Sono un grande appassionato di ciclismo e questo ambito mi sembra davvero tutto da approfondire. Anche se a rigor di logica la materia sarebbe forse più di pertinenza dei laureati in Scienze Motorie.

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Non solo c'è spazio, ma direi anzi che la conoscenza approfondita della scienza dell'allenamento rappresenta una prerogativa culturale senza la quale è impossibile svolgere con successo il lavoro di medico sportivo, in particolare nello sport di alto livello.
Per poter interagire coi tecnici, gli allenatori, i preparatori, infatti, è indispensabile parlare lo stesso linguaggio e comprendere appieno le dinamiche connesse alla somministrazione dei carichi di lavoro ma, soprattutto, alle logiche della pianificazione dell'allenamento.
Come si può intervenire, insomma, nella modulazione dei fattori quantitativi e qualitativi dell'allenamento di un atleta infortunato o in fase di convalescenza, se non se ne conoscono nei dettagli tutti gli elementi?
In conclusione, il medico sportivo che non è addentro a questi aspetti è destinato a svolgere un lavoro oltremodo limitativo in campo sportivo: quello che io chiamo, cioè, il mero 'pronto soccorso'.
In altri termini, non entrare nel merito della vita reale di un atleta - che è indissolubilmente connessa all'allenamento - significa limitarsi ad intervenire esclusivamente quando il soggetto ha un problema medico: quando la 'frittata' è già fatta, in parole povere.
Ai fini della prevenzione, perciò, è di fondamentale importanza che il medico segua l'atleta tutto l'anno, nell'ambito di un rapporto di collaborazione, sinergico, coi tecnici, i preparatori, i fisioterapisti, e con tutte le altre figure professionali che a vario titolo possono occuparsi della salute di quell'individuo.
L'allenamento, in conclusione, è in grado di incidere in maniera sensibile sullo stato di salute di uno sportivo, nel bene o nel male: per tale ragione, il medico sportivo deve essere in grado di comprenderne ogni risvolto e ogni componente.

[glow=red,2,300]2) come sono le possibilità di lavoro nell'ambito della prevenzione (il classico spiro-ecg-urine delle visite di idoneità)? Qualche tempo fa un ricercatore del dipartimento di fisiologia mi parlò di prospettive rosee in primis dal punto di vista economico.
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Sotto il profilo dell'attività in regime libero-professionale ci sono a mio avviso delle buone possibilità lavorative, motivate in primo luogo dalle dimensioni del bacino di utenza: non dimentichiamo, infatti, che l'ultimo censimento ISTAT parla di circa undici milioni di praticanti attività fisiche nel nostro Paese.
Il risvolto della medaglia è rappresentato dall'esiguità delle parcelle, che non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelle degli altri specialisti: nel Lazio, tanto per fare un esempio, una visita medico sportiva di base costa in media non più di 50 euro. Nulla a che vedere, insomma, con cardiologi, oculisti, ginecologi, dermatologi, e chi più ne ha più ne metta.
Questo fenomeno è logicamente dovuto al fatto che ancora oggi la stragrande maggioranza delle richieste di visita medico sportiva, proprio per la natura essenzialmente preventiva di tale valutazione, non nascono da un bisogno reale, cioè da un disturbo o da una vera e propria patologia.
Quest'aspetto condiziona dunque da un lato la scarsa disposizione a spendere cifre adeguate da parte degli sportivi, e dall'altro un certo 'gioco al ribasso' da parte degli specialisti, con particolare riferimento a quelli più privi di scrupoli: in pratica, i meno corretti tendono ad abbassare ulteriormente le proprie parcelle, al fine di accaparrarsi fette maggiori di clientela e incrementare la quantità delle visite.
Ma la quantità, com'è ben noto, molto raramente va di pari passo con la qualità, e spesso questi 'peones' (nel gergo medico sportivo vengono definiti così) tendono a innescare quelle bieche, spregevoli 'catene di montaggio' che non fanno certo onore alla Medicina, nè tantomeno alla Medicina dello Sport, ingenerando per giunta nell'utenza un'idea erronea a qualitativamente scadente di questa branca specialistica.
Un ultimo aspetto da tenere presente è quello rappresentato dall'usura.
Trattandosi di visite nel complesso abbastanza routinarie, tendono a stressare abbastanza lo specialista negli anni, nella misura in cui tale specialista col passare del tempo non può 'quantificare' la propria professionalità, in termini di crescita di anni ed esperienza: come avviene, viceversa, per qualsiasi altro specialista in Medicina.
In altri termini, il sottoscritto - che ha oramai i capelli bianchi e un curriculum da trasportare con una carriola - se effettuasse ancora visite medico sportive in regime privatistico (cosa che non faccio più da anni) dovrebbe e potrebbe chiedere una parcella più o meno identica a quella di un giovane medico specializzato da pochi giorni. Tutto ciò è abbastanza paradossale ma, soprattutto, fortemente demotivante, in quanto non risponde al diritto legittimo di ogni libero professionista: quello di veder adeguatamente retribuita la propria professionalità.
Per quanto riguarda l'attività in ambito pubblico, la situazione della Medicina sportiva è abbastanza variegata sul territorio nazionale.
So che in molte regioni i servizi vengono implementati, e in altre ne stanno nascendo di nuovi: in linea generale, perciò, malgrado i tempi vedo rosa, e sono ottimista.
Nella mia regione, il Lazio, è allo stato attuale assai difficile inserirsi negli organigrammi delle ASL, sia come specialista ambulatoriale che come dipendente a tempo pieno, in quanto il piano di rientro della sanità laziale ha sostanzialmente bloccato tutte le nuove assunzioni, sia a tempo determinato che indeterminato.
Relativamente più semplice è dedicarsi alle sostituzioni degli specialisti attualmente in servizio, sebbene negli ultimi tempi le ASL abbiano ridotto anche tali incarichi, sempre a fini di risparmio.
Non bisogna perdersi d'animo, però, per una semplicissima ragione: la maggioranza degli specialisti in servizio oggi andranno in pensione nell'arco dei prossimi 5-10 anni, perchè 'viaggiano' dai cinquant'anni in su.
Dunque i casi sono due: o verranno sostituiti da medici più giovani, oppure le aziende sanitarie aboliranno del tutto i servizi di medicina sportiva. Eventualità che onestamente vedo come assai improbabile.

[glow=red,2,300]3) mi piacerebbe, come a qualsiasi appassionato di sport, lavorare con atleti professionisti. Secondo lei è giusto affermare che uno sportivo di alto livello è, di fatto, un malato per via dei numerosi traumi, dell'uso/abuso di sostanze farmacologiche e delle performance al limite della fisiologia? E' un'affermazione shock, mi rendo conto, ma dopo averla sentita ripetere più volte mi piacerebbe avere il parere di un esperto del settore.[/glow]

Secondo me si tratta di un'esagerazione che non corrisponde alla realtà, e che tende a dare dello sport professionale una visione terrorizzante.
E' evidente che gli sportivi di alto livello presentano dei problemi di varia natura, che il più delle volte sono dovuti all'usura derivante da un allenamento e da calendari agonistici pesantissimi.
Malgrado ciò, non è esatto né onestamente elegante definirli dei 'malati'.
Colgo l'occasione, invece, per puntualizzare con decisione un aspetto che hai tirato in ballo: l'abuso, ma anche il semplice uso di sostanze farmacologicamente attive è sostanzialmente vietato, o comunque rigidamente regolamentato dalla normativa antidoping della WADA e del Ministero della Salute italiano.
Pertanto, qualsiasi medico sportivo che svolga il proprio lavoro in modo deontologicamente corretto e rispettoso delle regole, deve tendere a un uso estremamente parsimonioso dei farmaci ma, soprattutto, ha il vincolo di prescriverli unicamente con finalità terapeutica, in funzione di una logica ferrea ma chiarissima: quella di salvaguardare e di tutelare al massimo la salute dell'individuo.
Ad esempio: un atleta che necessiti di una terapia farmacologica importante per una patologia reale, è da considerarsi temporaneamente non idoneo alla pratica agonistica, e dunque va sospeso dall'attività. Quando avrà completato la terapia, e sarà guarito, potrà ricominciare ad allenarsi e a gareggiare: questa è la filosofia espressa dalla Legge 376/2000, impropriamente definita 'legge antidoping', ma in realtà soprattutto legge a tutela della salute dello sportivo.
In altri termini, anche la prescrizione degli integratori deve essere motivata da una reale necessità clinica, e non può essere giustificata dalla semplice idea (perché di fatto di un'idea illusoria si tratta) di agire sulla prestazione.
Pertanto prodotti di voga come la creatina, vitamine varie, gli aminoacidi a catena ramificata, preparati a base di proteine, e chi più ne ha più ne metta, molto raramente o quasi mai trovano una reale giustificazione in relazione alle condizioni cliniche dell'atleta.
Il loro uso, per di più, potrebbe comportare dei danni per la salute, e quindi va oltremodo limitato o addirittura vietato: io, ad esempio, non ne prescrivo mai.
In parole povere, il concetto è semplice: se uno sportivo si sente 'stanco' e 'non ce la fa', non può cercare nella chimica ciò che il suo fisico non è in grado di dare. La cosa migliore che può fare è riposarsi e, perché no, farsi una bella dormita. E mangiare bene, ovviamente.
Se le sue prestazioni non saranno comunque all'altezza delle sue ambizioni, pazienza: è la legge dello sport.

[glow=red,2,300]4) dal punto di vista cardiologico, la preparazione di uno specializzato in medicina dello sport in una scuola valida e orientata verso questa branca della medicina è lontanamente paragonabile a quella di un cardiologo?
La ringrazio per l'attenzione. Devo chiedere venia: nemmeno io conoscevo Michele Maffei. Purtroppo le mie conoscenze in fatto di scherma si fermano ai vari Montano, Cassarà, Baldini, Sanzo, Granbassi, Trillini e Vezzali. Concordo con Lei che un medico dello sport debba essere prima di tutto un grande appassionato e possibilmente uno sportivo praticante.[/glow]


I medici sportivi, e in particolare i più giovani, devono crescere in autostima, perché solo in quest'ottica potranno realizzarsi professionalmente in carriera, e sentirsi all'altezza di colleghi specialisti in branche 'storicamente' più consolidate e affermate.
Da circa trent'anni combatto una battaglia quotidiana proprio per affermare il diritto della medicina dello sport a una propria dignità scientifica e culturale, che la ponga allo stesso livello delle discipline considerate più 'nobili', in quanto esclusivamente cliniche.
Purtroppo noi paghiamo lo scotto di questo termine - 'sport' - che pare dare una connotazione in qualche modo voluttuaria e giocosa a una branca medica che presuppone un bagaglio di conoscenze vastissimo e in costante crescita.
Avendo operato in ben cinque edizioni dei Giochi, poi, e in un numero incalcolabile di competizioni internazionali, ho potuto apprezzare la qualità degli specialisti italiani rispetto ai colleghi stranieri, se non altro perché in molti altri paesi del mondo non esiste una vera e propria scuola universitaria di medicina dello sport, che sia orientata - come quella italiana - al possesso di tutte le competenze indispensabili per operare in ambito sportivo: quelle cardiologiche, in particolare, ma anche quelle fisiologiche, ortopedico-traumatologiche, riabilitative.
Spessissimo, ad esempio, per lo meno nella scherma, gli atleti stranieri si rivolgono a noi italiani (medici e fisioterapisti) per la soluzione dei propri problemi, e questa è sempre una bella soddisfazione, della quale dobbiamo essere fieri.

Sotto il profilo della competenza cardiologica, uno specialista in Medicina dello Sport deve possedere le conoscenze per individuare tutte le anomalie che possano far sospettare una patologia, o che vadano comnunque approfondite in chiave diagnostica: in primis, è indispensabile che abbia un'eccellente bagaglio di conoscenze in semeiotica ed elettrocardiografia.
Deve essere preparato, inoltre, anche in merito all'iter diagnostico previsto nel caso di determinate anomalie o disturbi.
A tal fine, le linee-guida che sono pubblicate con cadenza annuale dal COCIS (Comitato organizzativo cardiologico per l'idoneità allo sport) rappresentano un riferimento di fondamentale importanza: conoscerle a menadito è il presupposto indispensabile per essere in condizione di operare in modo professionalmente qualificato.
Ovviamente, l'errore per un medico sportivo sarebbe quello di tentare di sostituirsi al cardiologo nella gestione dei casi clinici: nel momento, perciò, in cui un atleta diventa un 'paziente', è bene che il medico sportivo faccia un passo indietro e lasci ai colleghi esperti della materia il compito di definire gli aspetti prettamente clinico-diagnostici di determinate situazioni.
La moderna cardiologia è estremamente complessa e sofisticata, e anche in questo settore esistono oramai delle superspecializzazioni: sarebbe presuntuoso, dunque, chi pensasse di avere una competenza al top in ognuno dei suoi molteplici aspetti.

Su Maffei ho già risposto a un altro collega.
Quanto a Montano, Cassarà, Baldini, Sanzo, Granbassi, Trillini e Vezzali, mi fa piacere che tu li conosca, e se vorrai te li presenterò alla prima occasione possibile.

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13 Anni 1 Mese fa #171948 da albe89

Un doveroso ringraziamento al dottor Antonio Fiore. Avere un professionista di questo livello su un forum è un valore aggiunto a prescindere, se poi ha la pazienza di mettere a disposizione il suo bagaglio di esperienza e il suo tempo in favore di noi futuri medici è davvero il massimo. Episodi come quelli che racconta fanno capire cosa significhi fare il medico sportivo con grande passione.

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13 Anni 3 Settimane fa #172985 da gaudio
Gentile dott. Fiore, da appassionato di sport ho letto con molto piacere i suoi interventi.
Avrei da farle un' obieizione tuttavia:

In realtà, ciò che differenzia il lavoro del medico sportivo (di classe) da quello dell'ortopedico, consiste in primo luogo nella capacità di analizzare in modo efficace i fattori intrinseci ed estrinseci che rappresentano invariabilmente le cause o le concause della stragrande maggioranza dei traumi sportivi.


scusi se mi permetto, ma in realtà ciò che NON differenzia il lavoro del medico sportivo (di classe) da quello dell'ortopedico, consiste in primo luogo nella capacità di analizzare in modo efficace i fattori intrinseci ed estrinseci che rappresentano invariabilmente le cause o le concause della stragrande maggioranza dei traumi sportivi.
Questo è il vero campo in comune, infatti nelle riviste di medicina sportiva ci sono moltisimi articoli pubblicati da equipe di ortopedia.

Ovviamente, essendo interno di ortopedia e occupandomi personalmente molto spesso di studi su traumi sportivi, sono di parte.

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13 Anni 3 Settimane fa #173087 da fiore
Caro Gaudio,
probabilmente ho generalizzato.
Di questo mi scuso ma, essendo io stesso specializzato in Ortopedia - oltre che ovviamente in Medicina dello Sport - conosco bene l'ambiente e, soprattutto, conosco il modo di approcciare alcune problematiche traumatologiche degli sportivi da parte degli ortopedici che operano all'interno degli ospedali e dei poliambulatori pubblici e privati.
Sono sicuro, peraltro, che ci sono molti centri di eccellenza ortopedica nei quali lo studio delle patologie dell'apparato locomotore che affliggono gli sportivi è molto avanzato.
In linea generale, però, gli ortopedici sono attratti essenzialmente dalla chirurgia, e solo una percentuale minore è realmente interessata a quelle patologie degli sportivi che di norma non richiedono terapie col bisturi, bensì un procedimento intellettuale in chiave clinica più articolato, al fine di concepire trattamenti più mirati, nei quali oltretutto svolgono spesso un ruolo importante altre figure professionali, quali i medici sportivi, i fisiatri, e i fisioterapisti.
Tanto per fare un esempio banale, ho notato che di frequente i colleghi ortopedici si limitano a trattare correttamente alcune patologie tipicamente sportive come le tendinopatie inserzionali, senza tuttavia definirne con esattezza tutti gli elementi causali, e in primis quelli di natura tecnico-biomeccanica.
In tal modo ottengono nella migliore delle ipotesi una remissione della fase infiammatoria dolorosa.
Senza agire sul gesto tecnico e sui sistemi di allenamento, però, non pongono i presupposti per la scomparsa definitiva degli elementi microtraumatici alla base della condizione di sofferenza tendinea.
Ovviamente, lo ripeto, non voglio certo affermare che tutti ragionino e operino in questi termini, però la mia trentennale esperienza personale mi porta ad avere un pizzico di perplessità in tal senso, se non altro per lo scarso interesse manifestato da alcuni colleghi ortopedici nello studio approfondito delle dinamiche tecniche delle varie discipline sportive, che di norma sono assai complesse.
Capisco la tua difesa della categoria ma, volendo allargare il discorso, molto spesso ho realizzato nella mia carriera che gli ortopedici si sentono una spanna superiori ai medici sportivi, ovviamente nel campo della traumatologia.
Un fenomeno analogo avviene con i cardiologi, cioè l'altra categoria di specialisti il cui lavoro talora sfuma in quello dei medici sportivi su alcune tematiche particolari. Ai congressi di cardiologia, insomma, i medici sportivi quasi mai vengono tenuti in considerazione: come se fossero i 'parenti poveri' senza diritto di parola.
In altri termini, rivendico una priorità della Medicina dello Sport nell'analisi, nello studio, nel trattamento e nella gestione di tutte le patologie che interessano l'attività fisica in senso lato, perché tale posizione è indispensabile al fine di assicurare a questa disciplina specialistica una dignità culturale e scientifica autonoma: in caso contrario, rimarremmo sempre una sotto-branca delle storicamente più consolidate e 'nobili' Ortopedia e Cardiologia.
Al fine di essere più chiaro, ti faccio un altro esempio che mi ha coinvolto personalmente: quest'anno una squadra professionistica mi ha contattato, in relazione alla necessità di avere un medico sociale specialista in medicina dello sport ai fini dell'iscrizione al campionato, come previsto dalla legislazione vigente.
Quando sono andato a parlare coi dirigenti del club, però, questi signori mi hanno comunicato senza mezzi termini che io servivo loro solo ed esclusivamente per ottemperare agli obblighi di legge inerenti i controlli di idoneità degli atleti, mentre per l'assistenza vera e propria ai giocatori intendevano avvalersi di un ortopedico ospedaliero.
Lo stesso modo di concepire il ruolo del medico sportivo, credimi, si verifica nella stragrande maggioranza delle società di calcio professionistiche, e perfino in nazionale.
In conclusione, l'atteggiamento di quel club mi è apparso assurdo, se non altro perchè il sottoscritto può vantare un curriculum che ben pochi ortopedici potrebbero avere in campo sportivo, ma non c'è stato nulla da fare e, ovviamente, ho rinunciato all'incarico. In altri termini, i soldi non sono l'aspetto più importante nella vita di un medico, ma ci sono valori ben più importanti: la dignità professionale, in particolare.

Se tutti i medici sportivi fossero più obiettivamente consapevoli della sperequazione in atto nei loro confronti, e si facessero carico di un'operazione che definirei 'ideologica', mirata sostanzialmente all'acquisizione di una maggiore autostima, forse la Medicina dello Sport potrebbe aspirare con maggiori chances di successo a passare dalla Serie B in cui si trova attualmente, a una dignitosa Serie A.

Un saluto cordiale.
Antonio Fiore

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13 Anni 3 Settimane fa #173102 da gaudio
Certamente la figura dell'ortopedico è interessata alla terapia chirurgica nell'ambito della traumatologia dell'atleta: infatti questo è il suo compito ed è tutt'altro che banale e per svolgerlo al meglio non si può prescindere dalla precisa conoscenza del gesto e della bio-meccanica (conosce Nicola Maffulli?). Questo era quello che intendevo, concordo che l'ortopedico non conosca i regimi di allenamento nè i principi di trattamento all'infuori dell'ambito chirurgico, infatti non si può certo sostituire al medico dello sport in toto.
Cordialmente.

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13 Anni 1 Settimana fa #173353 da groucho87
Buongiorno dott. Fiore,
anch'io sono uno studente del terzo anno di medicina molto interessato alla specializzazione . Tale interesse è dovuto sia al fatto che da sempre amo il mondo dello sport, sia perchè per problemi personali ho avuto a che fare con ortopedici e medici dello sport. Le risposte che ha fornito ad altri utenti mi hanno chiarito molti dubbi, mi restano i seguenti:
1) Mi è stato riferito che gli atleti ex professionisti sono nettamente avvantaggiati per quanto riguarda gli sbocchi lavorativi.Davvero parte in seconda fila chi non ha avuto significative esperienze, ma pratica sport solo per passione, magari al di fuori dei circuiti agonistici?
2) Mi chiedevo quali sono le opportunità lavorativa al di fuori dell'Italia, in particolare in ambito europeo. So che in molti stati europei non è neanche prevista una specializzazione in medicina dello sport, ma se come dice anche lei l'Italia "sforna" i migliori specialisti, magari saranno ben accetti all'estero. Cosa ne pensa in merito?
3) La retribuzione. So che tali discorsi di solito lasciano il tempo che trovano, sia perchè la retribuzione non dovrebbe essere la motivazione principale, sia perchè la situazione può cambiare sensibilmente da caso a caso. Premesso ciò, vorrei vederci più chiaro, perchè dalle situazioni che descrive lei (gettoni di presenza e visite d'idoneità pagate una miseria) i grattacapi sono tanti e sinceramente bisogna pensarci bene prima di investire più di 10 anni di studio per accedere a un lavoro precario e sottopagato. Mi piacerebbe avere una sua opinione anche su questo aspetto, grazie.
Cordiali saluti

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