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Medicina dello Sport: quale futuro?

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13 Anni 1 Mese fa #171748 da fiore
Ho letto in questo forum alcune discussioni interessanti tra giovani medici sulla Medicina dello Sport, la maggioranza delle quali vertevano sulle possibilità offerte da questa branca specialistica in chiave lavorativa.
Il discorso è complesso, ma un dato è certo: la medicina dello sport è in forte evoluzione, e ha ampi margini di sviluppo futuri, in relazione all'enorme diffusione dello sport e dell'attività fisica.
Una diffusione che peraltro non va solo nella direzione dell'agonismo, della competizione, del fitness e del divertimento in senso lato, ma anche e soprattutto in quella della riabilitazione e della terapia di un numero vasto di disturbi e patologie.
In ogni caso, svolgere l'attività di medico sportivo presenta degli aspetti indubbiamente affascinanti, che riguardano la possibilità di stare a contatto con una popolazione di 'pazienti' particolarissima ma, soprattutto, il valore aggiunto inestimabile rappresentato dalla possibilità di vivere una vita professionale divertente e salutare, fatta di viaggi e di esperienze indimenticabili: in particolare, se si ha la voglia di lavorare al seguito di squadre sportive di un certo livello.
Entrare al seguito della squadra azzurra - tanto per fare l'esempio più calzante - in uno stadio ululante e stracolmo di spettatori, nel corso della Cerimonia inaugurale di un Olimpiade, credo che rappresenti una delle esperienze più gratificanti nella vita di chiunque ami lo sport, e non solo.
A tale proposito, un elemento di riflessione è tuttavia indispensabile.
Coloro i quali decidono di avvicinarsi a questa disciplina devono possedere un requisito essenziale: la passione per lo sport.
In altri termini, non si può diventare un professionista di sport se non si conosce in modo approfondito e dettagliato tale materia, perfino nei suoi aspetti storici.
Troppo spesso, infatti, nella mia attività di docente alla Scuola di Specializzazione dell'Università La Sapienza di Roma mi imbatto in giovani specializzandi i quali non sono loro stessi degli sportivi, ma non conoscono nemmeno la storia recente dello sport olimpico: come a dire che un futuro cardiochirurgo non sappia chi è Barnard, o un laureando in fisica non abbia mai sentito parlare di Einstein.
Io sono profondamente convinto, ad esempio, che un futuro medico sportivo non possa ignorare chi siano stati Pietro Mennea, Livio Berruti, Sara Simeoni, Nino Benvenuti, Nicola Pietrangeli, Adriano Panatta, Gustav Thoeni, Michele Maffei: tanto per citare alcuni dei campioni più prestigiosi della storia dello sport italiano del dopoguerra.
La passione per lo sport è dunque il 'motore' determinante in questa professione: la quale non è per nulla noiosa, né tantomeno consiste - come qualcuno ha scritto in un forum - nell'effettuazione di una sequela ossessivamente ripetitiva di elettrocardiogrammi e spirometrie.
Perfino nelle visite di idoneità, infatti, si possono trovare un'infinità di elementi creativi per uscire dalla routine e per realizzare le proprie potenzialità professionali in modo divertente.
Sono disponibile per qualsiasi risposta ai vostri quesiti.
Antonio Fiore

Sotto molti aspetti, la medicina dello sport offre larghi margini di espressione alla creatività di ogni professionista.

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13 Anni 1 Mese fa #171783 da
Ciao. Innanzitutto, grazie per l'interessante intervento, molto articolato ed appassionato.
Sono uno studente al IV anno, in piena fase decisionale per quello che riguarda il futuro professionale, e nella fattispecie per quello che riguarda l'ingresso in specializzazione.
Sono fortemente attratto dalla Medicina dello Sport, che al momento attuale rappresenterebbe la mia seconda scelta, ma in avanzamento, essendo la prima -rappresentata dalla Cardiochirurgia- abbastanza "tribolata" per tanti aspetti riguardanti principalmente il futuro della disciplina che mi lasciano diversi dubbi.

Anche la Medicina dello Sport, in realtà, mi lascia qualche dubbio; ti sarei grato se potessi aiutarmi a fare chiarezza.
Innanzitutto specifico che la mia passione per questa disciplina nasce -come hai scritto nel tuo post- dalla mia forte passione nei confronti dello sport (discipline "minori" comprese). Mi piacciono la fisica, la biomeccanica, la teoria dell'allenamento, e soprattutto ho una forte passione per la cardiologia dello sport (devo ammettere che mi attira di meno il lato traumatologico-riabilitativo, che pure immagino essere -soprattutto ad alto livello- decisamente importante). Ma ancora -soprattutto- mi attirerebbe rientrare dalla "porta sanitaria" in un mondo che amo, e che per motivi di salute ho dovuto abbandonare quando avevo 15 anni (giocavo a basket a livello agonistico, ho dovuto lasciare per problemi alla valvola aortica e all'aorta ascendente).

Tuttavia mi rimane qualche dubbio che adesso cercherò di esplicitare.
1) Innanzitutto, io immagino il lavoro di un medico dello sport che segua -ad esempio- una squadra professionistica come quello di un "meccanico" che abbia cura di mantenere elevate nel corso della stagione le prestazioni degli atleti. Il fatto di avere a che fare con una popolazione prevalentemente sana, permette di continuare a mantenere dimestichezza con le manovre semeiologiche, con l'interpretazione dei dati di laboratorio, con la diagnostica per immagini, con la terapia (se si esclude l'aspetto ortopedico-riabilitativo)?
2) Guardando il curriculum di vari medici sportivi di alto livello, ho visto che molti possiedono almeno un'altra specializzazione oltre a quella in Medicina dello Sport (la maggior parte, Ortopedia e/o Medicina fisica e riabilitazione; qualcuno Cardiologia). Mi chiedo: secondo te c'è la possibilità di arrivare ad alti livelli (l'esempio che hai fatto delle Olimpiadi è perfettamente calzante) senza prendere una seconda specializzazione? Io mi sono iscritto in Medicina a 25 anni; ora ne ho 29, e se tutto va bene mi laureerò a 31 ed entrerò in specializzazione a 32. Per prendere una specializzazione non mi sento tutto sommato troppo in ritardo, ma prenderne due penso che mi verrebbe un po' in salita.
3) Mi attira molto la possibilità di utilizzare specifici protocolli di attività fisica per la prevenzione -e in alcuni casi per il trattamento- di patologie dell'apparato cardiovascolare (mi viene in mente l'ipertensione), metaboliche, ecc. Al giorno d'oggi, quanti medici dello sport si occupano di questo (un paziente iperteso, ad esempio, immagino sia seguito da un cardiologo; il diabetico dall'endocrinologo, ecc.)?
4) Esistono possibilità concrete per gli specialisti in Medicina dello Sport di trovare lavoro nel pubblico?
5) Nel concreto, esistono differenze tra una scuola e l'altra per le prospettive future? A me -ad esempio- hanno parlato molto bene della scuola di specializzazione della Cattolica di Roma diretta dal professor Zeppilli (cardiologo dello sport). Ma più in generale vorrei sapere se consiglieresti di tentare in una scuola "centrale" -a Roma o a Milano- o se ritieni che anche specializzandosi "in periferia" (io sono di Cagliari) si possano aprire ugualmente buone possibilità per il futuro.

Grazie se vorrai rispondere anche ad una sola delle domande che ho posto. Ciao.

PS Ammetto di non sapere chi sia Michele Maffei. Immoi vado e guardo su Wikipedia  :)

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13 Anni 1 Mese fa #171791 da fiore
Mi hai posto una serie di domande molto pertinenti ma altrettanto complesse.
Cercherò di rispondere a tutte nel miglior modo possibile.
Innanzi tutto, non è assolutamente indispensabile possedere un'altra specializzazione per diventare un eccellente medico sportivo e realizzarsi in carriera. L'evidenza che molti degli specialisti più affermati ne possiedano almeno un paio dipende a mio avviso dal fatto che si tratta di medici oramai prossimi alla sessantina, e dunque abbastanza giovani nel corso di un periodo 'storico' del sistema universitario italiano, nel quale era ancora possibile accedere a un altro corso universitario.
Ciò che conta realmente - come in tutte le attività umane, del resto - è essere preparati e professionali in ciò che si fa: a tal fine, per un medico sportivo possedere un'eccellente competenza cardiologica è di sicuro indispensabile, ma non è di certo sufficiente per affrontare tutte le possibilità lavorative offerte da questa specializzazione.

Hai centrato, infatti, un punto abbastanza importante: per dedicarsi allo sport di alto livello, o comunque per svolgere un'attività al seguito di squadre di club o di federazioni, è senz'altro importante possedere anche una buona preparazione in campo ortopedico-traumatologico e, direi, fisiatrico.
Questo non significa che si debba essere in grado di effettuare interventi chirurgici ma, essenzialmente, che si deve avere la preparazione clinica per gestire situazioni di carattere traumatologico acute e croniche, sia sotto il profilo diagnostico che sotto quello terapeutico e riabilitativo.
In realtà, ciò che differenzia il lavoro del medico sportivo (di classe) da quello dell'ortopedico, consiste in primo luogo nella capacità di analizzare in modo efficace i fattori intrinseci ed estrinseci che rappresentano invariabilmente le cause o le concause della stragrande maggioranza dei traumi sportivi.
Trattare correttamente una lesione acuta o cronica, infatti, non serve a molto se non si capiscono perfettamente le ragioni per cui la lesione stessa si è verificata: se così non fosse, lo sportivo andrebbe incontro immancabilmente a una recidiva.

Hai accennato alla biomeccanica: ecco, uno studio approfondito della biomeccanica del gesto, specifico per ogni disciplina sportiva, rappresenta un presupposto fondamentale ai fini della formulazione di un piano terapeutico corretto in un atleta.
Tutto questo sofisticato e affascinante processo intellettuale, è in effetti una prerogativa culturale e scientifica dello specialista in medicina dello sport: l'unica figura medica in grado di analizzare tutti gli elementi essenziali di un fenomeno complesso come lo sport, e l'esercizio fisico in senso lato.

Per quanto concerne la sport-terapia, si tratta di una moderna frontiera della medicina ancora ben lungi dall'essere realizzata in forma organica e strutturata nel nostro Paese.
L'idea che una serie di disturbi e di vere e proprie patologie possano essere trattate mediante la somministrazione del 'farmaco' attività fisica (prescritto però da un esperto della materia), è di sicuro documentata scientificamente, però manca un approccio culturale corretto a tale concezione clinica.
In altri termini, ancora troppo spesso l'esercizio fisico a fini terapeutici viene prescritto da medici i quali, tuttavia, il più delle volte non possiedono una preparazione a tal fine.
Sapessi, ad esempio, quante volte nella mia attività quotidiana mi trovo costretto a correggere prescrizioni incongrue o francamente sbagliate di cardiologi, ortopedici, endocrinologi, internisti, e così via, i quali conoscono di sicuro in modo perfetto le condizioni cliniche dei propri pazienti, ma talora non hanno la più pallida idea di come si possa strutturare un piano di allenamento, di quali siano i parametri funzionali da prendere in considerazione, di quali siano gli indicatori da valutare, di come si debbano alternare i carichi e gli scarichi, di quali siano le caratteristiche specifiche delle varie discipline sportive, di quali siano le indicazioni ma soprattutto le controindicazioni delle varie modalità di esercizio disponibili sul mercato del fitness.
In conclusione di questo ragionamento, malgrado in Italia siamo ancora abbastanza lontani dall'aver realizzato dei centri di sport-terapia realmente funzionali, ciò non toglie che si tratti di un campo d'azione verso il quale in futuro dovranno obbligatoriamente indirizzarsi gli sforzi di tutto il mondo medico, sia pubblico che privato, se non altro in ragione del progressivo invecchiamento della popolazione: in tal senso, la necessità di usufruire della preparazione di giovani specialisti in Medicina dello Sport rappresenterà una formidabile opportunità di lavoro per coloro i quali avranno l'intelligenza di dedicarsi a tale attività.

Concludo con una considerazione inerente le scuole di specializzazione.
Sono convinto che in Italia siano tutte eccellenti, perché il nostro Paese è assolutamente all'avanguardia in questo settore: le mie trentennali esperienze a livello internazionale - che in questo contesto non posso certo raccontare - me lo confermano in modo inequivocabile.
Hai citato, ad esempio, la scuola diretta da Paolo Zeppilli, che indubbiamente costituisce un'eccellenza in campo mondiale, con particolare riferimento all'impostazione cardiologica.
In ogni caso, è abbastanza chiaro come specializzarsi a Roma possa offrire maggiori possibilità di occupazione, in ragione del fatto che a Roma hanno sede il CONI e quasi tutte le federazioni sportive: si tratta di un'opportunità che va tenuta in considerazione, sebbene la grande maggioranza delle federazioni non navighi di certo nell'oro, e non sia in grado di assicurare un reale futuro economico a un professionista.

Ciònonostante, percorrere una carriera che consenta di viaggiare, vivendo in un ambiente piacevole in mezzo ai giovani, partecipando a gare internazionali e, perché no, perfino a Olimpiadi, rappresenta un obiettivo affascinante che non trova un corrispettivo in alcun'altra branca specialistica medica.

A onor del vero, malgrado tali aspetti positivi il risvolto della medaglia c'è, ed è pesante.

Va detto, infatti, che molto spesso i medici sportivi non brillano per un atteggiamento 'ideologico' e 'sindacale' all'altezza della situazione, orientato nel senso di un'affermazione del proprio diritto al riconoscimento di un ruolo che nello sport di alto livello è sempre più importante e fondamentale, se non altro per le immense responsabilità che tali professionisti si assumono, e per l'enorme impatto mediatico del fenomeno-doping, che a sua volta determina la necessità di assicurare un'azione preventiva di antidoping efficace, professionale e adeguata ai tempi.
In parole povere, troppo spesso  in passato (ma, ahimé, ancora oggi) i miei colleghi si sono accontentati del classico 'piatto di lenticchie', in cambio del prestigio di partecipare a un'Olimpiade o, peggio, di seguire una prestigiosa nazionale in giro per il mondo.
In realtà, il ruolo del medico sportivo che sappia svolgere bene il proprio lavoro - consistente in primo luogo nella prevenzione degli infortuni e, in senso generico, nella tutela della salute degli sportivi - ha assunto una rilevanza sempre maggiore ai fini dei risultati degli atleti: non si vince una gara se non si sta bene, fino a prova contraria.

A tale progressiva affermazione del concetto che il medico sportivo è indispensabile per le performances degli atleti non sempre, tuttavia, ha fatto riscontro una crescita proporzionale dei compensi - i quali rimangono nella stragrande maggioranza delle federazioni assai bassi.
Ci sono, insomma, federazioni straricche e prestigiose che hanno tuttora l'ardire di pagare i giovani specialisti che escono con le squadre nazionali gettoni giornalieri pari a 60 euro  (sic),  giocando sulla convinzione che 'tanto se quel medico vuole di più ne troviamo un altro' : una convinzione che, purtroppo, il più delle volte è suffragata dalla realtà dei fatti.

Tutto ciò è molto deprimente, ma confido nelle capacità dei giovani di rivendicare in futuro il proprio diritto a essere pagati in modo dignitoso, al pari di qualsiasi altro professionista della salute.

Per ora ti saluto.
Antonio Fiore


PS: dirò all'amico Michele che non sai chi sia: ci si farà una risata, com'è nel suo stile. Tieni presente che più di un terzo di tutte le medaglie vinte dall'Italia nella propria storia olimpica provengono dallo sport praticato da Maffei: sport del quale, a titolo di cronaca, sono medico federale da circa venticinque anni, con ben cinque olimpiadi sul mio anziano 'groppone'.

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13 Anni 1 Mese fa #171792 da
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Detto fatto! Che dire...grazie mille, davvero. Sicuramente proverò a scocciarti in futuro per chiarirmi qualche altro dubbio, ma al momento...più di così non potevo pretendere  :)

PS --> Adesso so chi è Michele Maffei. Magari Aldo Montano lo avrei indovinato  :) Le mie (limitate) conoscenze della scherma partono dai ricordi di Barcellona '92, con la vittoria della Trillini e il (primo?) trionfo della squadra femminile di fioretto. Tra l'altro -a proposito- ho scoperto che Diana Bianchedi si è laureata in medicina e specializzata in...Medicina dello sport! Curioso come si possa riuscire a conciliare un corso di studi così impegnativo con un'attività agonistica di così alto livello (mi viene in mente solo il "Narigòn" Bilardo, che però non so se abbia mai effettivamente esercitato la professione).

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13 Anni 1 Mese fa #171811 da albe89

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La prendo in parola! Sono uno studente del terzo e medicina dello sport è una delle specializzazioni che mi interessano di più.
Parto con le domande:
1) c'è spazio in medicina dello sport per lo studio della metodologia d'allenamento? Sono un grande appassionato di ciclismo e questo ambito mi sembra davvero tutto da approfondire. Anche se a rigor di logica la materia sarebbe forse più di pertinenza dei laureati in Scienze Motorie.
2) come sono le possibilità di lavoro nell'ambito della prevenzione (il classico spiro-ecg-urine delle visite di idoneità)? Qualche tempo fa un ricercatore del dipartimento di fisiologia mi parlò di prospettive rosee in primis dal punto di vista economico.
3) mi piacerebbe, come a qualsiasi appassionato di sport, lavorare con atleti professionisti. Secondo lei è giusto affermare che uno sportivo di alto livello è, di fatto, un malato per via dei numerosi traumi, dell'uso/abuso di sostanze farmacologiche e delle performance al limite della fisiologia? E' un'affermazione shock, mi rendo conto, ma dopo averla sentita ripetere più volte mi piacerebbe avere il parere di un esperto del settore.
4) dal punto di vista cardiologico, la preparazione di uno specializzato in medicina dello sport in una scuola valida e orientata verso questa branca della medicina è lontanamente paragonabile a quella di un cardiologo?
La ringrazio per l'attenzione. Devo chiedere venia: nemmeno io conoscevo Michele Maffei. Purtroppo le mie conoscenze in fatto di scherma si fermano ai vari Montano, Cassarà, Baldini, Sanzo, Granbassi, Trillini e Vezzali. Concordo con Lei che un medico dello sport debba essere prima di tutto un grande appassionato e possibilmente uno sportivo praticante.

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13 Anni 1 Mese fa #171849 da fiore
Che ricordi mi hai suscitato!
Quelle di Barcellona'92 sono state le mie prime Olimpiadi. Mi sembra ieri il giorno in cui Giovanna Trillini si ruppe il legamento crociato anteriore e decidemmo di non farla operare al fine di consentirle di partecipare a quell'edizione dei Giochi.
Fu una scelta complessa, molto difficile per l'epoca, e comportò dei problemi enormi soprattutto per il sottoscritto, che doveva presenziare a tutti gli allenamenti collegiali pre-olimpici: il ginocchio di Giovanna, infatti, si gonfiava di continuo, e c'era sempre da scegliere i tempi e i modi degli indispensabili 'stop'.
Alla fine ce la facemmo a metterla su quella pedana di Barcellona, lei vinse un oro fantastico, e per me fu una delle soddisfazioni maggiori in carriera, in quanto quella medaglia rappresentò anche il frutto del lavoro certosino di mesi e mesi: esattamente ciò che ci si aspetta da un medico sportivo, e ciò che desideravo fare nella vita.

Diana Bianchedi fu protagonista di un altro episodio-chiave della mia carriera.
Nel corso delle Olimpiadi di Atlanta '96, infatti, durante i turni eliminatori del mattino subì un drammatico incidente: la rottura del tendine d'Achille. Essendo ancora giovane, in quell'occasione mi precipitai sulla pedana scavalcando con un balzo tutte le transenne, e col fisioterapista presi una decisione difficile: quella di fasciare la gamba dell'atleta e di consentirle di completare il match, che in quel momento era in sostanziale parità.
Anche quella si rivelò una decisione un po' pazza ma azzeccata. Diana, seppur piangente per il dolore e zoppicante, riuscì a vincere l'assalto, eliminando in tal modo una temibilissima concorrente per le proprie compagne di squadra: proprio la fiorettista cinese, cioè,  che a Barcellona quattro anni prima si era giocata l'oro contro la Trillini.
Appena terminato l'incontro, la sfortunata fiorettista milanese crollò a terra piangendo a dirotto, e ricordo che la portai fuori dalla sala in braccio, tra gli applausi di tutto il pubblico americano, commosso per la forza d'animo di uno 'scricciolo' di nemmeno un metro e sessanta: il giorno dopo, tutti i giornali del mondo pubblicarono in prima pagina la notizia, e la futura dottoressa divenne una vera e propria 'eroina' olimpica.
Operata subito dopo le Olimpiadi, la Bianchedi tornò presto a gareggiare, ed ebbi la gioia di stare a bordo-pedana quando vinse l'oro a squadre nei Giochi successivi - Sydney 2000 - col fantastico 'dream team' formato da lei, Giovanna Trillini e Valentina Vezzali.
Essendo una ragazza molto intelligente e straordinariamente organizzata, Diana riuscì a laurearsi in Medicina e a specializzarsi in Medicina dello Sport, pur continuando a gareggiare.
Negli anni successivi alle Olimpiadi di Sydney, conclusa la carriera agonistica, la Bianchedi è diventata vice presidente del CONI. Attualmente dirige il centro di riabilitazione sportiva ISOKINETICS di Roma.

Veniamo a Michele Maffei.
Questo sciabolatore romano è stato il più forte e famoso schermitore italiano degli anni settanta, in una fase storica nel corso della quale, a dire il vero, la nostra scherma non raccoglieva gli allori odierni.
Essendo un personaggio affascinante e, soprattutto, dotato di un livello culturale assai alto, Maffei divenne un personaggio televisivo di quegli anni: un po' il corrispettivo del  Montano dei giorni nostri.
In carriera i suoi migliori risultati furono un titolo mondiale individuale e la vittoria a squadre alle Olimpiadi di Monaco '72, oltre a innumerevoli medaglie raccolte nelle più importanti competizioni nazionali e internazionali.
Attualmente, Maffei è il segretario generale della Federazione Ginnastica.

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